giovedì 31 luglio 2008

Appeso



Appendo gli stracci dell’illusione
asciutti come alghe essiccate
durante notti di luna vergine

Ma nell’intreccio delle nostre mani
leggo già futuri ossimorici
e dolci promesse di cartapesta

E io sono appeso alle nubi:
quando il cielo piangerà ancora
pioverò sulle tue pietre roventi

lunedì 28 luglio 2008

Water for my journey



Ho disegnato nella mia mente una casa per te. Una casa che rispecchi la tua anima, che in questo pomeriggio di sole vedo come una lenzuolo bianco nel vento. Questa casa si trova alla fine di un deserto, proprio dove la vegetazione compare improvvisamente e il mare si apre immenso davanti agli occhi. Sfacciato nella sua totalità. Tutto l’edificio è costruito attorno ad un enorme terrazzo colpito dolcemente dal sole. Io sono arrivato dal deserto e tu mi hai accolto su questo terrazzo infinito di purezza. E io non ho più avuto paura. “I'm walking through the desert and I am not frightened although it's hot”. Dietro di me ho lasciato i cadaveri dei miei pensieri. E qui, accanto al tuo sguardo, ho iniziato un percorso sconosciuto. Ma che dal primo istante mi ha donato questa straordinaria sensazione di completezza. Sul tuo terrazzo, la tavola è imbandita e io posso avere tutto ciò di cui ho bisogno. “I will take this road much further though I know not where it takes me I have water for my journey I have bread and I have wine no longer will I be hungry for the bread of life is mine”. Dal pavimento del tuo terrazzo sgorgano fonti di acqua calda e le rose sanno diventare verdi come l’erba di un pascolo. Tu sei l’angelo che protegge questo mondo che è fuori da quello reale, pur essendo l’essenza stessa della vita. E per proteggere tutto ciò hai bisogno solamente della tua voce e del tuo sguardo. Perché gli angeli non usano armi. E io mi sento indegno di tanta purezza e di questa sublime attenzione. Io che conosco solo il sangue che mi fuoriesce dal petto e si raggruma sugli occhi. Io che tento di diventare puro ma sono lontanissimo dal sentirmi tale. Ma la tua voce, quella che si sente solamente con l’anima, mi dice che non è necessario cercare la purezza. Perché un giorno non lontano, anche io potrò volare sul mare. Sfiorare la superficie dell’acqua e divenire puro come sei tu. "You must not try to be too pure, you must fly closer to the sea".
Le parti in inglese sono tratte da “I do not want what i haven't got” by Sinead O'Connor

mercoledì 23 luglio 2008

Venia negata



Padre maledicimi perché ho peccato
e porto mostri sulle mie spalle di vetro
e lacrime di catrame sulle labbra

Padre condannami per questo mio dolore
cicatrizzato sull’anima insolente
e per l’asma emotiva che mi corrompe

Padre rinnegami per il veleno denso
di cui mi nutro per non morir di inedia
in questo deserto d’anime fatiscenti

martedì 22 luglio 2008

Scathed



Have you seen? My pillow is full of blood but I’ve no scar on my cheeks oh no. Have you heard this whispering from my heart? But I’ve no soul, I’ve lost it all, I’m scathed. What did it happen to the light? There is only a tinsel night, outside. My resort is going on numbing myself with these thoughts and their notes, so loved. And your need of reducing me to my fears is condemning me to a chronic bleeding. Is this affliction ‘till so right? No with this dagger I gain life, for me. You can call criminal the thing I’m going to do but it’s quite similar to anything you used to do. It’s not this evidence of dealing always with the pain but using past tense every time you appear. Our future is written on the water, have you noticed every wrong step is like drowning? I’m following into the sink the drop falling. Where it goes I went days ago. I stay sick without being what I would be if I had not my wings cut off. What the conditions for a life? Tell me before I become blind. Blind. You can call criminal the thing I’m going to do but it’s quite similar to anything you used to do. It’s not this evidence of dealing always with the pain but using past tense every time you appear, I say. Our future is written on the water, have you noticed every wrong step is like drowning?

giovedì 17 luglio 2008

Sigur Ròs, 11 luglio 2008, Firenze – Giardino di Boboli



Eccomi qui a parlare di una serata fiorentina indimenticabile. Quella trascorsa venerdì al Giardino di Boboli davanti al palco dei Sigur Ròs (che a detta di un mio amico informatissimo, si pronunciano Sigur Ro/z/ , con /z/, la fricativa alveolare sonora che in italiano si ritrova ad esempio nella parola “rosa” = ro/z/a. Scusate la divagazione ma ogni tanto riemerge il mio spirito da socio – linguista fallito). I Sigur sono un gruppo Islandese che, a mio modestissimo parere, ha creato una musica nuova. Una musica che dalle prime note di un qualsiasi pezzo fa dire: ecco i Sigur Ròs! E scusate se questo è poco, in un mondo in cui tutto ormai è copia delle copie copiate. L’arrivo a Firenze è stato un po’ traumatico. 2 ore bloccati sull’A1, poi parcheggio a una distanza imprecisata e infine di corsa per trovare l’ingresso di Porta Romana. Ma seduto al fresco, in mezzo ad alberi vetusti, in un’ottima posizione (quinta fila in platea) ho subito recuperato le forze e dimenticato le disavventure del pomeriggio. Sono arrivato che già suonava tale Helgi Jònsson che mi ha ricordato un po’ Damien Rice, e magari anche Elliott Smith in certe cose. Dei pochi pezzi ascoltati ho apprezzato soprattutto la vocalità. Poi lui si è ripresentato nel corpo di musicisti a seguito dei Sigur poco dopo. Loro sono entrati poco dopo tra gli applausi, tutti e 4, seguiti poi via via da diversi musicisti: i fiati, gli archi, ecc. Il palco: gigantesco, foderato di teloni neri e con 6 enormi sfere di tela sospese a mezz’aria e illuminate dall'interno. Un’atmosfera che definirei “planetaria” e che ben si sposa con il sound un po’ “cosmico” (!?) della band! Non si viene a un concerto dei Sigur Ròs per cantare o per riconoscere i pezzi e urlare. Si viene per ascoltare e partecipare emotivamente all’intensità della musica. E devo dire che le aspettative non sono state tradite per niente. La musica è stata fiabesca in certi momenti e vigorosa in altri, proprio come la natura Islandese, fatta di oceani, boschi, vulcani e distese di ghiaccio. L’esecuzione è stata straordinaria e sul palco si sono alternati ben 13 musicisti (ho contato bene?) che hanno portato suoni e strumenti di ogni genere: violini, contrabbasso, tromboni, vibrafono, tamburi, flauto.. oltre ovviamente a chitarre, tastiere, batteria e basso. Il quartetto di archi era composto dalle islandesi Amiina (presi il loro cd, molto piacevole all’ascolto, lo scorso autunno a Londra) per l’occasione vestite in modo colorato e appariscente. I fiati invece erano tutti uomini vestiti di bianco, quasi in divisa, come una banda di paese di una cittadina costiera. La cosa straordinaria è stata che i musicisti erano “intercambiabili” cioè molti, membri della band compresi, si spostavano da uno strumento all’altro con assoluta disinvoltura. Tra i molti pezzi che ho apprezzato ci sono stati “Svefn-G-Englar”, "Takk", "Agætis Byrjun"e "Glosoli", anche se devo ammettere, non è facile ricordarsi i loro titoli! Per tutto il concerto è stato splendido il continuo alternarsi da momenti di serenità quasi zen e atmosfere rarefatte, a momenti di festa, incitamento e suoni fragorosi: in questo secondo me sta il grande potere dei Sigur. Ascoltarli (soprattutto live) ti fa capire che la musica, così come la vita, è una continua alternanza di emozioni anche opposte.. da un istante all’altro si può passare dalla tranquillità alla passione, dalla tristezza alla gioia, dalla malinconia alla voglia di vivere. L’apice “festaiolo” del concerto c’è stato durante l’esecuzione di “Gobbeldigook”, il nuovo singolo molto concitato, con tutti i musicisti sul palco e anche lancio di coriandoli. Effettivamente i Sigur qui mi hanno stupito assai, ma loro non hanno paura di stupire. Anche se mi sto dilungando molto non posso non scrivere due parole su Jonsi, il frontman della band: una vocalità eccezionale (un falsetto da brivido), quasi ultraterrena… unita a questa chitarra distorta a sei corde suonata (falciata?) come fosse uno strumento ad archi con l’archetto.. Quindi da un lato una voce angelica e dall’altro lato un suono elettronico potentissimo e quasi disturbante.. Ancora una volta la coincidenza degli opposti. Durante il concerto si è creata una situazione quasi magica, rafforzata dai testi incomprensibili, scritti e cantati in un idioma inventato e senza senso (o magari per chi scrive il senso c’è eccome); per la cronaca però, nonostante lo sapessi, ho cercato di trovare alle frasi che sentivo un senso in inglese (….). Una nota indispensabile sul look della band, che ha riservato sorprese. Il più elegante era certamente il tastierista Kjarri con un frack ottocentesco a coda lunga, ma anche il bassista Goggi non scherzava con la sua tenuta molto old style; il batterista Orri Pall invece era tutto bianco con un’enorme corona sulla testa in stile prettamente fiabesco (carnevalesco?). Ma è il cantante e chitarrista Jonsi che ha stupito di più: indossava una specie di divisa militare nera ma con frange alle maniche, che contrasta con il suo aspetto che definirei elfico. Per questo ho coniato per lui il termine “elfo post-moderno”! Il concerto è terminato con l’encore di "Untitled 8" da "( )", con il pubblico in delirio ammassato sotto il palco. Infine i musicisti si sono inchinati al pubblico in estasi. Che dire? Questo concerto è stata una catarsi. Come se – durante l’esibizione – mi avessero condotto su un altro pianeta. Ma poi sono tornato sulla terra. Ahimè.

martedì 15 luglio 2008

Febbre karmica


Raccolgo sconfitte ancora vergini
e affette da febbre karmica
sulla linea sottile dell’orizzonte
che divide l’estate dalla speranza

Che cosa vuoi dirmi tempo acuminato
con queste onde di silicio
che continuano a sbattermi sul viso
come schiaffi di amante ingannato?

E subisco i miei dubbi appuntiti
nel vento caldo sulla neve:
gli abbracci parassiti dell’edera
che ostili mi stritolano le vene

giovedì 10 luglio 2008

Polvere d'acciaio



Sono soltanto
Un parto del caso
Figlio di personalità troppo ingombranti

Eppure in questo
Prato di stelle
Sento la mia mediocrità crollare esausta

Quello che ho, lo perderò, poi lo riavrò, di nuovo
Regole no, io non ne ho, quello che so, io sono

Lune dipinte di rosso
Riflesse in fondo al pozzo

Siamo polvere d’acciaio
Sotto i colpi di un mortaio

Su catapulte dorate
In queste sere d’estate

Siamo missili lanciati
Verso futuri stuprati

Sono un pensiero
D’insonnia creativa
Ombra di una curiosità che non riposa

Sono un sorriso
Sempre accennato
Ma che non esploderà mai dentro un sogno

Quello che ho, lo perderò, poi lo riavrò, di nuovo
Regole no, io non ne ho, quello che so, io sono

Lune dipinte di rosso
Riflesse in fondo al pozzo

Siamo polvere d’acciaio
Sotto i colpi di un mortaio

Su catapulte dorate
In queste sere d’estate

Siamo missili lanciati
Verso futuri stuprati

PS. Da almeno tre anni non scrivevo una canzone in italiano, è stata una sorpresa di qualche notte fa, una notte di stelle e pensieri. Vi abbraccio. Daniel.

domenica 6 luglio 2008

Crumbles of us



Many times I have prayed
Just to see you again
And I have been crumbles of us
And I have found thousand of “buts”

Not a simple complain
It’s my great need to change
Not to escape from the myth of us
But to say I’m only my blood

I can’t pretend
To be another man
To change my head
Just with my tired hands

It’s not possible though it’s all I’ve got

There is no faith
My eyes drenched in pain
The cells I’m made
Are screaming in the flames

There’s no way to grow if not burn it all

Many litres of shame
I put over your face
But this can’t be my final task
I’ve to erase the signs of us

I know there won’t be times
With the eyes into eyes
But I have known all the lies of us
So now I call something to love

I can’t pretend
To be another man
To change my head
Just with my tired hands

It’s not possible though it’s all I’ve got

There is no faith
My eyes drenched in pain
The cells I’m made
Are screaming in the flames

There’s no way to grow if not burn it all

venerdì 4 luglio 2008

Senso Remoto



A volte
Tra gli sputi sonnambuli
Delle mie notti
Scorgo i tuoi occhi
Spalancati
Come quelli di una belva
Che si finge morta
Ma attende invece
Di azzannarmi la gola

(E allora a forza
Lascio fluire il dolore
Dai tuoi denti
Alle ossa del costato.
Non c’è sangue.)

Stanotte
Con il mio piede sinistro
Schiaccio la tua immagine
E mi accorgo che tu
Sei solo un senso remoto
Che consola e rammarica
Il mio ego entropico
Senza scalfirne
L’amarezza

(La coda del silenzio
Striscia dietro l’angolo
Della porta socchiusa
E finalmente ritorna
Il rumore della vita)

giovedì 3 luglio 2008

Mariangela Gualtieri, 1 luglio 2008, Palazzo Ducale – Sassuolo (Mo)



Prima di martedì non avevo mai visto Mariangela Gualtieri. Nemmeno in foto. L’avevo solamente intuita attraverso le sue parole. Avevo colto l’immensità della sua anima. Avevo lasciato che la mia anima vibrasse tra le sue sillabe e i suoi versi. Martedì ho avuto la grande fortuna di assistere a un suo spettacolo. Utilizzo il termine “spettacolo” perché dire “lettura” è estremamente riduttivo in questo caso. C’è stato molto di più. Piccolo aneddoto ante spettacolo. Prima che iniziasse sono andato a cercare il bagno e nel farlo mi sono quasi perso nei corridoi del palazzo ducale. Ecco che in una saletta adiacente alla porta della toilette vedo una donna seduta che mi indica molto gentilmente la strada, sorridendomi. Poco dopo il mio passaggio la sento intonare un canto melodioso. Esco e la osservo compiaciuto, mostrando con lo sguardo l’apprezzamento per quel che sento. Lei mi sorride di nuovo. Poi torno nel suggestivo cortile esterno dove stava per iniziare lo spettacolo. La grande poetessa arriva. E io mi accorgo di averla appena incontrata mentre scaldava la voce. Mariangela ha un aspetto che trasmette immediatamente serenità e consapevolezza, dolcezza e forza, allo stesso tempo. E una voce che ti avvolge senza lasciarti scampo. Da subito Mariangela mette in mostra la sua emotività tagliente e complessa come un mare nordico. Le sue parole arrivano dritte al cuore ma solleticano con decisione le porte della ragione. Le espressioni che utilizza non possono lasciare indifferenti. È un viaggio ascoltarla e lasciarsi trasportare. Di cosa parla Mariangela? Parla della condizione dell’uomo. Una condizione infelice e problematica, alienata e frustrante, che lo vede separato dal cosmo e della radice stessa della sua anima. “Che cosa abbiamo dimenticato nella micidiale corsa?”. “Nessun popolo è stato distante come noi da ciò che lo tiene in vita”. La poetessa parla della preghiera. E io come lei, sono convinto l’uomo abbia un immenso bisogno di pregare, in modo nuovo però. La preghiera è fonte che disseta l’anima. “Chi preghiamo? Non lo so, non importa. Qualcuno che ascolta c’è sempre”. E non ha paura di ammettere che il dolore della gente può essere vano: “Abbiamo già pagato tanto. E non siamo migliori. Punto”. Perché ahimè non è vero che il dolore riscatta, come spesso certi tipi di morale vorrebbero suggerire. L’uomo è misero ma è anche una creatura immensamente complessa che però vive in uno stato di perenne confusione: “Io dico ora. Chi sfoglierà le nostre teste accartocciate?... La vita è più misteriosa di questo poco”. La filosofa Mariangela dona stralci di infinito a chi la ascolta, con un’umiltà straordinaria, quella propria solamente delle grandi anime: “Dondolare la mente fino alla pulizia totale… il cosmo non è stanco. Solo l’uomo è stanco. Vuole e dispera”. E ancora: “Non vedo Dio. Sono in cecità. Ma vorrei almeno sentirlo piangere. Come piango io…. È poco il poco che so. E per questo poco chiedo perdono”. Credo che qualunque parola io possa aggiungere oltre a questi piccoli estratti che mi sono appuntato durante la sua lettura, sia futile, se non indegna. Mariangela Gualtieri è una poetessa, una filosofa e soprattutto un’anima straordinaria. Grazie grande anima, mi hai lasciato dentro un’immensa gioia con le tue parole schiette di inevitabile dolore e di autentica speranza. “Adesso fa notte, fa preghiera.. apre le porte del silenzio”.

PS. Tutte le parti tra virgolette sono estratti dalle poesie di Mariangela Gualtieri che ho appuntato sul momento. Mi scuso per eventuali errori o imprecisioni.