L'odore proveniente dal tubo di scarico di una macchina che mi passa accanto mentre corro mi riporta improvvisamente a un passato ancestrale, quando Tamara ci portava a scuola con la Citroen Dyane, in una di quelle mattine grigie e fredde, lasciandoci all’entrata del piazzale polveroso. Il potere degli odori è fenomenale: in un istante sa condurre la mente lontanissimo, dove nemmeno si pensava che potessero albergare ancora quei ricordi. Pensare a me bambino è come ricordare qualcuno che sono stato in un'altra vita. Faccio fatica a focalizzarmi, a ricordarmi chi ero e cosa pensavo. Ricordo meglio gli altri che me stesso. “Do I know you from somewhere? Why do you leave me wanting more? Why do all the things I say sound like the stupid things I've said before?”. Vorrei ricordare di più di me allora, per capire meglio come mai sono diventato oggi quello che sono. Quali pensieri nocivi, quali scelte sbagliate, mi hanno condotto a questo disastro. Ma ogni tentativo di capire sembra ormai così inutile, stupido, banale. Le prime gocce di pioggia sulla mia pelle mi fanno sentire che, nonostante tutto, il mio corpo è ancora vivo ed è ancora in grado di farmi provare qualcosa di bello, non soltanto dolore. Vedo le minuscole goccioline sulle mie braccia nude e sento il desiderio di toccare la mia pelle con la mano. Per farmi sentire che ci sono ancora. “Put your hand on my skin. Put your hand on my skin. Put your hand on my skin”. Riesco a rientrare dalla corsa appena in tempo, prima che la pioggia inizi ad essere davvero intensa.
Le parti in inglese sono tratte da "Skin" di Madonna.