Da alcuni giorni sto provando ad accettare la mia insonnia. La difficoltà ad addormentarmi. I continui risvegli. Il rigirarsi nel letto. Sto cercando di convincermi del fatto che il mio corpo e la mia mente in fondo sanno di quanto sonno ho bisogno. Sto cercando di accettare i dibattiti che si formano nella mia mente prima che arrivi la benedizione del riposo. Sto tentando di dare una qualche dimensione sacrale, di preghiera, al calvario delle mie notti. Pregare fino ad arrivare all’assenza che consente il passaggio verso la dimensione onirica, sotto la luna fredda del sonno. “Absence, absence, absence, absence. Cold moon comes down curdling, curdling”. Ma prima occorre fare i conti con ciò che è stato, con quello che si è vissuto. La vita è così: ognuno cerca di sdraiarsi la sera pensando che non sia stata una giornata inutile, anche se spesso lo è stata. Siamo contraddizioni viventi che cercano una propria coerenza e riflettono sulle proprie azioni in termini di passato e di futuro. Quando in realtà, tutto quello che dovremmo fare è praticare l'oblio di noi stessi e vivere esclusivamente questo dannato momento presente. Invece pretendiamo di separare ogni cosa tra il bene e il male: o sogni o incubi. E così le nostre notti diventano una continua alternanza fra sonno e veglia, tra la testa pesante e il mal di pancia. “Know you every place of good and not-good. Sleep and wake, and bellyache”.
Le parti in inglese sono tratte da “A Noiseless Noise”di PJ Harvey.


