L’anno purtroppo si apre in modo tragico. Solo con il termine tragedia può essere descritto ciò che è avvenuto a Valentina Giovagnini, artista che amavo molto fin dalla sua comparsa nel Sanremo del 2002. Valentina è morta a soli 28 anni in un incidente stradale nella notte fra il 2 e il 3 gennaio: la sua macchina si è schiantata nel pomeriggio del 2 contro un albero, lungo la strada fra Pozzo della Chiana e Foiano (AR), vicinissima a casa. Una beffa del destino che spezza una vita giovane e un grande talento. Valentina aveva portato sul palco dell’Ariston un modo di fare musica che sorrideva al sound celtico e, cosa ancora più straordinaria, lo aveva fatto cantando in italiano. Non solo la voce dolcissima con un’intonazione leggermente drammatica e folk, ricordava le voci delle cantautrici celtiche più famose, ma aveva portato anche uno strumento celtico per eccellenza, sul palco della più grande manifestazione canora italiana: la cornamusa. Già dalla sua esibizione sanremese mi aveva colpito molto, e mi ero subito procurato il cd (cosa rara per uno come me che non segue quasi per niente la musica italiana). E quel cd, “Creatura nuda”, mi era piaciuto moltissimo. Perché oltre ad apprezzarne l’aspetto musicale, la sua voce e gli arrangiamenti, mi avevano colpito i testi che suggerivano anche un percorso spirituale di ispirazione celtica, che sento molto vicino. Tra tutti i pezzi, cito alcune parti di “Metamorfosi”: “
Non esisto solo qui l'universo è in me come un fiore all'innocenza tornerò, la mia linfa salirà fino al cuore e poi dalle braccia rami nuovi allungherò … mi libererò falco io sarò la natura che si risveglia per l’eternità mi trasformerò…. quanti volti avrò quante verità prima di incontrarmi con me”. Per questo ho ascoltato quel cd fino a consumarlo… e la sua voce, dolce e carica di emotività crepuscolare, mi è divenuta famigliare. Le sue parole si sono fuse con la mia personale consapevolezza. Dopo Sanremo c’è stato un singolo, nel 2003, e concerti in giro per l’Italia, con un gruppo che aveva chiamato “Ogham”, il nome dell’alfabeto celtico degli alberi, il linguaggio del bosco. Aveva imparato bene a suonare la cornamusa e accostava lo strumento alla sua voce. Purtroppo non era più riuscita a tornare a Sanremo e, per sua stessa ammissione, aveva incontrato persone sbagliate, che le avevano fatto perdere molto tempo. Come al solito, il pessimo mondo della discografia italiana non permette ai veri talenti di uscire davvero. Poi finalmente a novembre l’annuncio: nei primi mesi del 2009 sarebbe finalmente uscito il nuovo album. Ma ora la cronaca atroce parla da sé. Purtroppo non ho avuto la fortuna di conoscere Valentina, né di assistere a un suo concerto, e oggi questa cosa mi brucia ovviamente molto. Le affinità musicali e non solo avrebbero certamente creato i presupposti per uno splendido incontro. Ho così vissuto la musica di Valentina solo nell’intimo del mio ascolto, in solitudine. Senza condividere le emozioni che mi ha dato con nessuno. Solo ora ne parlo. In sua memoria. Con questo dolore e senso di ingiustizia dentro. Ma anche con un grande grazie per lei e la sua anima meravigliosa che mi nasce direttamente dal cuore. La sua voce sarà immortale dentro di me, come il suo ricordo. Voglio pensare che Valentina non sia morta proprio perché sopravvive come il fuoco senza fine dello spirito celtico in cui la sua anima aveva trovato conforto. Citando Yeats dal suo “Crepuscolo celtico”, lascio una dedica a Valentina: “
Time drops in decay, like a candle burns out, and the mountains and the woods have their days have their days, but kindly old roots of the fire burn moods, you pass not away”. Valentina, io ti penso ora come le tue stesse parole mi suggeriscono: “
Io sono in volo sono libera non ho confini intorno a me sono un pensiero sono musica” (da “Libera”); come uno splendido angelo: “
Mi vesto come un angelo che sa che nelle ali ha nuove libertà e mi abbandono al gesto di volare via” (da “Il passo silenzioso della neve”). E ti mando il mio ringraziamento, ovunque tu sia.