Eccomi qui a parlare di una serata fiorentina indimenticabile. Quella trascorsa venerdì al Giardino di Boboli davanti al palco dei Sigur Ròs (che a detta di un mio amico informatissimo, si pronunciano Sigur Ro/z/ , con /z/, la fricativa alveolare sonora che in italiano si ritrova ad esempio nella parola “rosa” = ro/z/a. Scusate la divagazione ma ogni tanto riemerge il mio spirito da socio – linguista fallito). I Sigur sono un gruppo Islandese che, a mio modestissimo parere, ha creato una musica nuova. Una musica che dalle prime note di un qualsiasi pezzo fa dire: ecco i Sigur Ròs! E scusate se questo è poco, in un mondo in cui tutto ormai è copia delle copie copiate. L’arrivo a Firenze è stato un po’ traumatico. 2 ore bloccati sull’A1, poi parcheggio a una distanza imprecisata e infine di corsa per trovare l’ingresso di Porta Romana. Ma seduto al fresco, in mezzo ad alberi vetusti, in un’ottima posizione (quinta fila in platea) ho subito recuperato le forze e dimenticato le disavventure del pomeriggio. Sono arrivato che già suonava tale Helgi Jònsson che mi ha ricordato un po’ Damien Rice, e magari anche Elliott Smith in certe cose. Dei pochi pezzi ascoltati ho apprezzato soprattutto la vocalità. Poi lui si è ripresentato nel corpo di musicisti a seguito dei Sigur poco dopo. Loro sono entrati poco dopo tra gli applausi, tutti e 4, seguiti poi via via da diversi musicisti: i fiati, gli archi, ecc. Il palco: gigantesco, foderato di teloni neri e con 6 enormi sfere di tela sospese a mezz’aria e illuminate dall'interno. Un’atmosfera che definirei “planetaria” e che ben si sposa con il sound un po’ “cosmico” (!?) della band! Non si viene a un concerto dei Sigur Ròs per cantare o per riconoscere i pezzi e urlare. Si viene per ascoltare e partecipare emotivamente all’intensità della musica. E devo dire che le aspettative non sono state tradite per niente. La musica è stata fiabesca in certi momenti e vigorosa in altri, proprio come la natura Islandese, fatta di oceani, boschi, vulcani e distese di ghiaccio. L’esecuzione è stata straordinaria e sul palco si sono alternati ben 13 musicisti (ho contato bene?) che hanno portato suoni e strumenti di ogni genere: violini, contrabbasso, tromboni, vibrafono, tamburi, flauto.. oltre ovviamente a chitarre, tastiere, batteria e basso. Il quartetto di archi era composto dalle islandesi Amiina (presi il loro cd, molto piacevole all’ascolto, lo scorso autunno a Londra) per l’occasione vestite in modo colorato e appariscente. I fiati invece erano tutti uomini vestiti di bianco, quasi in divisa, come una banda di paese di una cittadina costiera. La cosa straordinaria è stata che i musicisti erano “intercambiabili” cioè molti, membri della band compresi, si spostavano da uno strumento all’altro con assoluta disinvoltura. Tra i molti pezzi che ho apprezzato ci sono stati “Svefn-G-Englar”, "Takk", "Agætis Byrjun"e "Glosoli", anche se devo ammettere, non è facile ricordarsi i loro titoli! Per tutto il concerto è stato splendido il continuo alternarsi da momenti di serenità quasi zen e atmosfere rarefatte, a momenti di festa, incitamento e suoni fragorosi: in questo secondo me sta il grande potere dei Sigur. Ascoltarli (soprattutto live) ti fa capire che la musica, così come la vita, è una continua alternanza di emozioni anche opposte.. da un istante all’altro si può passare dalla tranquillità alla passione, dalla tristezza alla gioia, dalla malinconia alla voglia di vivere. L’apice “festaiolo” del concerto c’è stato durante l’esecuzione di “Gobbeldigook”, il nuovo singolo molto concitato, con tutti i musicisti sul palco e anche lancio di coriandoli. Effettivamente i Sigur qui mi hanno stupito assai, ma loro non hanno paura di stupire. Anche se mi sto dilungando molto non posso non scrivere due parole su Jonsi, il frontman della band: una vocalità eccezionale (un falsetto da brivido), quasi ultraterrena… unita a questa chitarra distorta a sei corde suonata (falciata?) come fosse uno strumento ad archi con l’archetto.. Quindi da un lato una voce angelica e dall’altro lato un suono elettronico potentissimo e quasi disturbante.. Ancora una volta la coincidenza degli opposti. Durante il concerto si è creata una situazione quasi magica, rafforzata dai testi incomprensibili, scritti e cantati in un idioma inventato e senza senso (o magari per chi scrive il senso c’è eccome); per la cronaca però, nonostante lo sapessi, ho cercato di trovare alle frasi che sentivo un senso in inglese (….). Una nota indispensabile sul look della band, che ha riservato sorprese. Il più elegante era certamente il tastierista Kjarri con un frack ottocentesco a coda lunga, ma anche il bassista Goggi non scherzava con la sua tenuta molto old style; il batterista Orri Pall invece era tutto bianco con un’enorme corona sulla testa in stile prettamente fiabesco (carnevalesco?). Ma è il cantante e chitarrista Jonsi che ha stupito di più: indossava una specie di divisa militare nera ma con frange alle maniche, che contrasta con il suo aspetto che definirei elfico. Per questo ho coniato per lui il termine “elfo post-moderno”! Il concerto è terminato con l’encore di "Untitled 8" da "( )", con il pubblico in delirio ammassato sotto il palco. Infine i musicisti si sono inchinati al pubblico in estasi. Che dire? Questo concerto è stata una catarsi. Come se – durante l’esibizione – mi avessero condotto su un altro pianeta. Ma poi sono tornato sulla terra. Ahimè.