Sdraiato su questo letto, accanto alla collina, questa notte mi sembra di sentirne il respiro. E mi accorgo con dolore quanto il mio respiro sia diverso: più corto, stentato, piccolo. Ho muscoli secchi e affannati e una mente colma di regole mortificanti. E sono cosciente di non essere più così bravo a raccontare me stesso. Negli anni la consapevolezza è lentamente sprofondata nel fango della frustrazione e della incapacità di realizzazione. Ho intrapreso mille sentieri senza concluderne mai uno, con la presunzione di poter essere in qualche modo premiato per i miei sforzi. E anno dopo anno ho perso i contatti con la freschezza di un tempo, raccolta sui pendii dell'ovest nelle notti estive e nei pomeriggi invernali. Quella sensazione di totale identificazione con il proprio essere che ormai a malapena riesco a ricordare. Ora tra le mie molte facce parziali non so più riconoscere quella autentica. E anche la mia scrittura si è fatta più pesante e incerta: pur partendo talora da spunti autentici si perde senza avere un chiaro intento e una meta da raggiungere. La mia vita sembra una parodia senza umorismo ed empatia: la storia semplice e chiara di uno che non ce l'ha fatta. Quantificare le colpe del fallimento, addossarsele o esternalizzarle, non ha più senso. Tentare nuove strade non porta più a niente da anni: conducono tutte allo stesso vicolo cieco. Sono stanco di questa filosofia del cambiamento ad ogni costo che vede nel mutamento e nell'innovazione continua le armi principali per vincere sempre. Non è la staticità che mi ha portato ad arenarmi sul fondale. Sono anzi le molte decisioni prese per cercare un miglioramento ad essersi dimostrate tutte errate e frutto di illusione. A vincere sono sempre gli arroganti e i superficiali, quelli che non hanno timore di sopraffare e combattere senza rimorso. Quelli che sono certi di chi sono e non hanno dubbi. Quelli che scelgono sempre le strade giuste. Di nuovo penso alla morte come la soluzione più dolce, più semplice, meritata dopo così tanto inutile combattere. Ciclicamente questo pensiero torna a me ma ogni volta con una consapevolezza più piena, con meno dolore e paura: ogni volta mi sento più pronto. Quale alternativa ho? Reinventarmi di nuovo, per l'ennesima volta,trovare ancora un equilibrio inedito, basato su nuove leggi fisiche da riscrivere completamente. Ma soprattutto avere la forza di ingoiare un fallimento circolare che urla 360 volte, una per ogni grado angolare. Mi chiedo se ne valga la pena. Mi chiedo perché cercare ancora un senso in una vita che proprio non ne vuole sapere di assumere un qualche tipo di identità. Oppure se sia giunta l'ora di misurare l'abisso. “I've come tonight I've come to know, the way we are, the way we'll go. Come to measure this: the width of the wide abyss”.
Le parti in inglese sono tratte da "Thick As Thieves" di Natalie Merchant