In questi giorni di mezzo autunno, mi piace - un po’ prima del tramonto - scendere giù al fiume. Lascio che le mie gambe, ancora nude, scivolino lungo il nastro di asfalto che precipita per quasi duecento metri di dislivello con le sue lunghe curve serpentine, fino al fondo della valle. Arrivo al piccolo ponte che separa le due sponde e osservo l’acqua nel punto della confluenza fra due torrenti. E in quelle acque vorticose, osservo l’ultimo raggio di sole, penetrare da sopra le colline di castagni, appena oltre il ponte, verso sud. Sono le 15.51. Un’ora simmetrica. Ed è qui che inizia la sfida. Torno sui miei passi, verso casa, di passo spedito. In pochi minuti il sole rinasce verso sud ovest, sembra incredibile: un’alba o un tramonto? La mia mente corre veloce, quasi quanto le mie gambe che risalgono il pendio, senza sosta: è il sole a dare il ritmo. Basta seguirlo: lui scende mentre io salgo la montagna. Il risultato è che il disco solare sembra quasi immobile, nello stesso punto. Respiro e penso. “Follow, follow the sun, and which way the wind blows, when this day is done, breath, breath in the air, set your intentions, dream with care”. Penso a tutta la strada che ho fatto per arrivare fino a qui, da dove in verità sono partito. Solo come allora. Forse di più. E quindi, in fondo, è come se fossi sempre stato fermo, come il sole che sto seguendo. Arrivo a casa e il sole è ancora lì. Mi stendo sullo sdraio a sud ovest e lo osservo, ancora per parecchio tempo, scendere inevitabilmente, ora che io sono fermo e non posso più salire. L’aria si fa più fredda, come quella che ho sentito poco fa, giù al fiume. E la sfera si colora di rosa per scendere definitivamente dietro la montagna. Nel punto intermedio tra l’equinozio e il solstizio. Come sempre a Samhain. Sono le 16,40 e io ho visto, in meno di un’ora, due tramonti. Un miracolo di gambe. E di spirito.
Le parti in inglese sono tratte da “Follow the sun” di Xavier Rudd
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