Da molto tempo volevo scrivere questo post di riflessione sul concetto di empatia, che ritengo la base stessa di qualsiasi rapporto interpersonale. E’ un argomento su cui ho riflettuto parecchio, ma l’idea di ragionarci qui mi è venuta da un post della notturna Irene di circa un mese fa, intitolato “Le vite degli altri (e quella che non ho vissuto)” (grazie Ire). Sì perché senza nessun tipo di empatia, un rapporto è solo sterile cortesia. Ma se l’empatia è troppo estesa e coinvolgente, si rischia di smettere di vivere la propria vita. Personalmente ho sempre sofferto molto di questo secondo problema. Quando mi sento coinvolto in ciò che una persona (un amico e non solo) mi racconta, partecipo emotivamente anche a livelli troppo elevati. Questo può essere negativo per me ma anche per gli altri. Essere razionali e consigliare senza un coinvolgimento emotivo esagerato, spesso può essere più salutare. Siccome il concetto di empatia mi interessa enormemente, mi sono un po’ documentato. Ho scoperto che alcune università anche Italiane (ad esempio quella di Parma) stanno portando avanti un filone di studi sul concetto chiave di Einfühlung tradotto, in questo caso, proprio come Empatia. Questo concetto è preso da Husserl (che lo traduce però come “fenomeno dell’entropatia”) il quale parla della rappresentazione teatrale: affinché lo spettatore comprenda l’azione rappresentata in teatro è necessario che, oltre al fenomeno puramente percettivo, abbia luogo il fenomeno della Einfühlung, grazie al quale è possibile quella dialettica di immedesimazione e ironia che caratterizza il vissuto dello spettatore rispetto all’attore/personaggio rappresentato. (I tedeschi, da Kant in poi, sono così bravi “a parlare razionalmente di emozioni”). Nel caso delle ricerche sull’Einfühlung = empatia, si scende a livello puramente scientifico. Pare infatti che le nostre sensazioni a livello emotivo siano gestite da dei neuroni chiamati “neuroni specchio”. Quando ci troviamo di fronte a una persona che ci esprime, a parole o in modo non verbale, un determinato stato emotivo, noi attiviamo gli stessi neuroni che attiviamo quando siamo noi ad essere in quello stato emotivo. In parole più semplici: se io vedo un amico piangere, attivo gli stessi neuroni che attiverei se piangessi (ovviamente a differenti intensità, la qualitativamente è la stessa cosa). Cosa vuol dire questo? Che siamo “naturalmente” predisposti all’Einfühlung, cioè siamo naturalmente empatici. Dunque combattere le emozioni di derivazione empatica sarebbe andare contro il nostro essere umani? Il meccanismo dell’empatia prevede prima una fase di comprensione, poi una di condivisione e infine una reale identificazione nella sensazione o stato emotivo. In quanto esseri umani siamo naturalmente predisposti a soffrire e a gioire sulla base dei dolori e delle gioie altrui. Rimane da chiarire fino a che livello possiamo farci coinvolgere dall’empatia, cioè fino a che punto la nostra vita interiore sia effettivamente influenzata e influenzabile dagli altri e dal mondo esterno. Chiudo citando un altro tedesco, Lichtenberg: “Noi stiamo in mezzo tra l’anima e il mondo esterno e siamo specchi degli effetti di entrambi”.
lunedì 19 novembre 2007
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8 commenti:
Come a dire.. mi specchio e vedo me dentro te.. cioe' vedo te. Sì, lo so, mi incarto. Bravissima a parlare di cose superficiali, quando si tratta di scavare a fondo di me stessa preferisco incartarmi che lasciarmi prendere la mano. Quanto io possa essere coinvolta, però, te lo dicono i miei occhi. Come fai a vederli, Dani? Trova lo specchio più vicino e guardaci dentro...
Ti bacio. Come sempre. Ma questa sera con un briciolo (e non soltanto) di Einfühlung in più!
Grazie, Dani!
Per quanto possibile in un mondo virtuale.. tengo molto a te! davvero!!!
Sono d'accordo quando dici che se l'empatia è troppo coinvolgente, si rischia di smettere di vivere la propria vita, ma credo anche non dipenda da noi. Non è una questione di scelta, ma solo di "livelli", a chi troppo, a chi niente. Come in tutte le cose, sarebbe preferibile una giusta via di mezzo, ma forse la giusta via di mezzo non esiste e altro non è che una invenzione dell'uomo, un traguardo cui tendere, il cui pensiero serve come consolazione per le nostre mancanze o per i nostri eccessi, che poi sono le cose per cui soffriamo.
Mezzanotte e 30. Mi lascio alle spalle un pomeriggio pesante, rileggo e mi chiedo che cosa io abbia scritto...:-)Gas
“Noi stiamo in mezzo tra l’anima e il mondo esterno e siamo specchi degli effetti di entrambi” bellissima questa frase, l'archivio, post molto interessante...
Coincidenza stavo leggendo anch'io dei neuroni specchio...
Ho sperimentato l'empatia molto da vicino studiando shiatsu (il mio hobby).
Come shatzuka devo sviluppare al massimo l'empatia e la sensibilità
ma nello stesso tempo per prendermi cura dell'altro devo anche saper mantenere un confine molto netto... Indispensabile è la centratura in se stessi... il proprio equilibrio, il riconoscimento e la consapevolezza
del mio ed il suo sentire... Ossia
stare in "mezzo"... come nella frase riportata tra la mia anima ed il resto del mondo...
Complimenti... mi piace leggerti... è un arricchimento continuo...
Un sorriso...
Fly
Più di una volta mi è sembrato di smettere di vivere la mia vita anzi, di metterla in stand-by per seguire gli altri. Quando si soffre, si soffre troppo, vuol dire che si va oltre l'empatia: è una maschera per non vedere se stessi. Questa è la soglia da non oltrepassare.
Sai cosa credo? No? E allora mo' te lo dico. Credo che empatici si nasca. Non si dice empatici? Ok. Credo che empatosi si nasca. ;-)
Basta fare parlare le emozioni. Tutte. Anche con chi si conosce poco o appena. Io vivo così, mi trovo meglio. Sono più sereno. Provare per credere.
A volte se ci si trova tra empatici l'empatia perdura a nostro dispetto... Mi succede... E non so più distinguere tra me e l'altro... Un bacione Daniel..
Fino a che punto possiamo diventare empatici?In alcuni casi , quando il legame che instauri con una persona è forte, la semplice empatia assume dei livelli quasi paranormali: sentiamo le emozioni di chi amiamo anche a distanza ed è come se ci richiamssero a loro.Essere sulla stessa frequenza porta anche a capire profondamente l'altra persona e ad interpretare con rigore quasi scientifico ogni atteggiamento...tuttavia la conoscenza non sempre aiuta...spesso sarebbe + facile non sapere per vivere al meglio le nostre vite.
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