Da qualche settimana sento di stare affondando più del solito. In acque scure e melmose che conosco bene. Ma se, il più delle volte, sento la melma soltanto sotto le piante dei piedi, ora invece la sento nelle mani e in bocca. Inizio a temere di non uscire più. So perfettamente che, oltre che da tutto ciò che non va bene nella mia vita, questa situazione dipende dal mio modo di pensare. Dalla mia mente che sostanzialmente mi odia e mi fa credere che le acque in cui sono immerso siano ancora più scure della realtà. Mi dice che sono io l’artefice di ogni mia sfortuna che tutto quello che posso fare è andare a casa e piangere. “Go home, go home, to your father's garden, go home and weep your fill and think upon your own misfortune which you bought with your wanton will”. Ho chiesto aiuto e mi sono stati dati alcuni suggerimenti che però spesso mi sembrano banali. La verità è che sono in un circolo vizioso. Più sto male e più non mi sento degno di fare qualcosa per stare meglio. Ammesso che io sappia cosa mi possa fare stare meglio. Mi rendo conto di avere una visione distorta della realtà sia in termini di autopercezione che in termini di aspettative verso gli altri. So anche che basta poco per risalire un minino dall’abisso ma che ci vuole una forza di volontà pazzesca anche solo per fare un passo verso l’alto. Per alcuni giorni, sono riuscito ad alzarmi prima e fare yoga davanti alla finestra ad ovest, osservando la luna tramontare. E ascoltando musica. Un piccolo riconoscimento verso me stesso, per cercare di aiutarmi. Anche se non so quanto ormai ne valga la pena.
Le parti in inglese sono tratte da “Blackwaterside” (traditional Irish song).
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