martedì 5 febbraio 2019

All of those times, when you could have died


La pioggia stanotte ha rammentato alla neve la precarietà del suo stato. Sono bastate poche ore per cancellare dal mondo il colore bianco. Io, nel tepore delle mie coperte di lettere, rassicuranti perché sono in grado di chiudere fuori la realtà, ho riflettuto sulla inequivocabile provvisorietà di ogni mia scelta. Mi aggrappo soltanto a idoli caduchi, pronti per una veloce dissoluzione. Eppure, desidero vederli come fossero di eterna pietra, presenza stabile e indissolubile nel mio orizzonte precario. Di notte, come argini fittizi contro la piena montante dei pensieri, li enumero per contrastate il timore dell’incontrollabile. Abbiamo numerato anche i giorni – frammenti di tempo non definibili soltanto tramite la loro mera successione temporale! - per paura di affrontare un infinito che non si può davvero contare. E l'immenso, così arginato, si è ritirato dentro di noi ed è divenuto vuoto. Con questo vuoto, numericamente ordinato in maniera utopica, fanno i conti le mie notti. Notti in cui vorrei piangere ma non ci riesco. E durante le quali attraverso come un pellegrino tutti i momenti che ho vissuto e in cui sarei potuto anche non esserci. Sarei potuto morire. “Let tears fall like rain, apple-sized they were, all over her, and through all of those times, when you could have died, this is what you find”. E continuo a scrivere senza sosta per fermare, almeno sulle pagine, lo scorrere implacabile dei giorni. Mentre fuori la pioggia cancella le tracce dell’inverno, promettendo una primavera precoce. 

Le parti in inglese sono tratte da “John I Love You” di Sinéad O'Connor

2 commenti:

amanda ha detto...

Gli attimi conquistati sono un nido caldo da cui bisogna imparere a prendere il volo

Daniel ha detto...

Per Amanda
È proprio così. Punti al riparo del vento gelido del tempo.
Grazie
D