sabato 29 maggio 2010

The guardian


I remember snow and all its stories
Now that the springtime is so full
While the guardian keeps his own glory
I am trying to find new useful tools

And there is no trace of fear on his eyes
Even if the shades and the tears from the sky
And he’s got no time as my fantasy
When the people cry I wonder what he thinks

I sink again into the springtime
Through the mountains and the grass
And the guardian is always there
Since my memory exists

I wonder once again the meaning
Of his inhabiting the roof
She always said he was our guardian
And I believe she had hot the proof


I know it’s not a simple story
That someone vainly goes on to account
There’s something sacred in his showing
His self in front the valley now

And there is no tongue could really tell the truth
But there is a world that lives outside our rules
And I feel a part of this mystery
When the people die I wonder what he thinks

I sink again into the springtime
Through the mountains and the grass
And the guardian is always there
Since my memory exists

I wonder once again the meaning
Of his inhabiting the roof
She always said he was our guardian
And I believe she had hot the proof

venerdì 21 maggio 2010

Ain sof *


Il tuo viso dipinto di luce
come il sole giovane d’alba
come l’acqua sacra di maggio
che lambisce finestre stupite

Mi rammenti un’estate immortale
di profeti dispersi nel cielo
nell’attesa violenta di gioia
dei tuoi occhi oceani infiniti

Posso udire i sospiri del tempo
supplicare l’abisso del nulla
mentre dolce mi coglie il calore
nel mio istinto confuso di uomo

* In ebraico “אין סוף” = l’energia creativa primaria, grazie alla quale dal niente nasce il tutto (Ain = il vuoto)

lunedì 10 maggio 2010

There was a tree there


In questo giardino di sogni bambini, resto soltanto io. E la mia ombra che non mi è mai parsa così transitoria. Osservarla sbiadirsi sotto le nuvole grigie mi rende un’altra volta chiaro come sia solo un passaggio quello che sto vivendo. Un sentiero che conduce altrove. Dove l’ombra del mio corpo non esisterà più. E io sarò solo essenza in attesa di una forma. Ma ora che sono carne, lascio che queste lacrime di acciaio venute dal cosmo mi sfiorino la pelle, prima di infiltrarsi tra l’erba aguzza. E sono il brivido freddo di ogni goccia. Chiudo gli occhi e quando li apro scorgo il suo frassino secco. Accanto al mio che invece risorge dopo il buio invernale. Ed è una scoperta amara eppure ovvia. Ricordo ancora il giorno in cui li piantammo, uno accanto all’altro. Osservo il tronco bruno e secco dell’albero, ergersi rigido e assente accanto al verde trionfo della stagione. Ogni cosa qui è un simbolo. Una lezione di vita e di morte. Qualcosa che già intuivo nella selva orticante di Yesod*. Le oscure profondià dell’inconscio, il rigoglioso manto che copre ogni mia notte con i suoi sussurri e venti sottili. Come questa primavera che sa esplodere lentamente ogni sera e ogni mattina. Sopra ai corpi dei morti e tra i sospiri della vita onnipotente. “There was a garden in the beginning, before the Fall before Genesis. There was a tree there, a tree of knowledge..”.

*Yesod nella tradizione della Cabala Ebraica è la tifareth (sfera) dell’inconscio e dell’onirico; attraverso di essa passano molti dei percorsi che dalla dimensione materiale (Malkuth) salgono verso i mondi più alti sulla mappa che rappresenta l’evoluzione umana (l’albero della vita)

Le parti in inglese sono tratte da “Original Sinsuality” by Tori Amos

Nella foto: alberi di mimosa sulla cima del Monte Tabor – Galilea (Israele)