lunedì 30 luglio 2012

Damien Rice, 27 Luglio 2012, Motovelodromo, Ferrara



È straordinario rivedere uno dei miei artisti preferiti in assoluto dopo 5 anni e trovare che ancora sa suscitare fortissime emozioni nonostante – emotivamente parlando – siano in realtà passati 5 secoli nella mia vita da quel lontano luglio 2007. Damien Rice, il grande cantautore irlandese che ha stupito il mondo con la sua poesia, provando quanta ispirazione ci sia ancora nel mondo di oggi, era a Ferrara lo scorso venerdì. Avrebbe dovuto esibirsi, come la scorsa volta, nel cortile del palazzo estense, ma ancora una volta il terremoto che ha devastato l’Emilia ha costretto a spostare lo spettacolo al Motovelodromo che manca della poesia dell’altra cornice. Ma ci ha pensato Damien ad aggiungere la poesia che mancava, con un’esibizione eccezionale. Da solo sul palco per più di due ore – con due soli brevi interventi di percussionisti – Damien ha dimostrato, a mio parere, di avere mantenuto la sua straordinaria capacità di rendere quotidiana e accessibile la poesia attraverso le canzoni, e di avere allo stesso tempo migliorato le sue doti di musicista come cantante, chitarrista e pianista. Ha iniziato salutando in italiano (ricordando che ha vissuto in Toscana facendo il mezzadro, prima di riprovarci con la musica nella natia Dublino!) e raccontando un aneddoto: cosa farebbe un giovane ragazzo se ogni giorno avesse un milione di euro da spendere? Ebbene, ciò non è vero ma egli ha pur sempre ogni giorno un milione di spermatozoi … così è partito con “The professor and la fille danse” il bellissimo pezzo metà in inglese e metà in francese (come amo il multilinguismo!). Poi la dolcissima “Delicate” che il pubblico ha adorato. Poi un po’ di carica con la splendida ballata “Coconut skins” con cui già qualcuno si è alzato in piedi e ha iniziato a battere le mani a tempo. Poi è stata la volta di “Fool” uno dei molti pezzi che lui esegue dal vivo ogni tanto ma che non sono mai stati pubblicati: io penso che un vero artista debba avere un serbatoio di canzoni che non si riducono alle fredde liste del retro di copertina dei cd: “Fool” mi ha sopreso, non mi aspettavo un pezzo nuovo. Poi Damien ha lasciato la sua amata chitarra classica e si è messo al piano per fare la splendida “9 crimes”, seguita da uno dei miei pezzi preferiti “I remember”: si tratta di un pezzo incredibilmente nostalgico ma lui lo ha introdotto in modo spiritoso dicendo che è uno dei pezzi di cui si dimentica spesso il testo nonostante di intitoli così! (il testo lo sapeva poi benissimo…). Subito dopo “Elephant” si è rivolto direttamente al pubblico chiedendoci che cosa volevamo sentire: in vari hanno risposto “Insane” un pezzo bellissimo e vecchissimo, scritto prima dell’inizio della sua avventura solista: e lui l’ha fatta! Non l’avevo mai sentito e ha un testo favoloso. Si è poi rimesso al piano e ha fatto “Accidental babies” che mi ha commosso: è stato per me il momento emotivamente più intenso del concerto. Ma Damien non aveva smesso di stupire: ha chiamato il pubblico vicino (tutti di corsa sotto il palco) e ha suonato “Cannonball” senza microfono e senza elettricità: this is the real unplugged! Con “Volcano” ha coinvolto il pubblico facendolo cantare a pezzi la canzone in base alla zona in cui ci si trovava (e ci ha detto che siamo stati bravissimi). Per suonare “Cold water” ha chiesto di spegnere tutte le luci del palco: siamo rimasti al buio sotto la luna ad ascoltarlo. Poi finalmente ha fatto “The blower’s daughter” che hanno cantato in tanti con lui. E infine ha preparato una grande sorpresa: ha inscenato una sorta di sketch teatrale; ha invitato una ragazza sul palco (pare una sua amica) poi l’ha fatta accomodare insieme a lui accanto a un tavolino su cui erano posati una bottiglia di vino italiano e due bicchieri: ecco che i due si sono scolati la bottiglia mentre lui raccontava di questo incontro in un pub di Dublino tra un ragazzo e una ragazza, un incontro bellissimo che però non finisce bene in quanto poi lei dice di essere già impegnata. Finito il racconto ha cantato “Cheers darlin’” facendo finta (?) di essere ubriaco… e scambiandosi la sigaretta con la ragazza rimasta al tavolino.. splendida esibizione con cui ha salutato e concluso. Nessun nuovo album per Damien Rice ma un’eccezionale riproposizione dei pezzi che lo hanno reso così amato in tutto il mondo, dagli album “O” e “9”. Ma soprattutto Damien a Ferrara aveva tanta voglia di raccontare, di raccontarsi e di interagire con il pubblico. Otre la grande stima verso l’artista e verso l’uomo che ha saputo affrontare il successo in un modo originale senza farsi troppo coinvolgere, Damien per me rappresenta tutto ciò che vorrei essere e che mai sarò. Nessuna invidia, solo grande ammirazione e un po’ di amarezza nei confronti della mia mediocrità artistica.

domenica 29 luglio 2012

Don't deserve that pain


Cannot say if summer has defeat you or your pain
‘cause for you was a long way into the decadence

And there are too many prayers spoken
By the bed of your hopes all broken

Let me know somehow if you have won some peace
Christian poets say that if you suffer you gain Glory

I don’t know if I believe in something
Misery is water on the fire

Nothing else to say
Don’t deserve that pain
Oh no my granny
Hope now you’re in peace

When I saw your face
Coming cold and pale
I said to myself
I hope now you’re in peace

Your last month a nightmare was for you and for all of us
The earthquake has destroyed the church you loved so much

In your age you have seen so many changes
More than what I could also imagine

Now some days have passed by from the day of your burial
In that day near your corps I’ve heard this melody

And now is my way to say goodbye
Hoping that you are already flying

Nothing else to say
Don’t deserve that pain
Oh no my granny
Hope now you’re in peace

When I saw your face
Coming cold and pale
I said to myself
I hope now you’re in peace

mercoledì 25 luglio 2012

Hesperides


What about this summer
Turning into autumn
Following the emotion
I’ve inside

It seems going to rain
But suddenly a ray
Of sun with a prayer
Falls down

And in the garden of the west
Among the Hesperides* try to rest

Because I need so desperately
A pause from all the pain

The Seven Pillars** in my head
To find the peace I’ve to understand

That also the death is a door
We’ve to open on the way

Sometimes I ask
If there is a difference
Between our existence
And the fate

In the life there is
Already the seed
That brings us to the
Same end

And in the garden of the west
Among the Hesperides try to rest

Because I need so desperately
A pause from all the pain

The Seven Pillars in my head
To find the peace I’ve to understand

That also the death is a door
We’ve to open on the way


* Le Esperidi, nella mitologia greca, sono ninfe che vivono in un meraviglioso giardino all’estremo ovest del mondo, dove custodiscono un albero di mele prodigioso di cui non possono toccare i frutti (tema mitologico presente in tutte le mitologie, quella ebraica in primis). Sono collegate al tramonto, in attesa del quale sono solite cantare e danzare dolcemente.
 ** Nella mistica ebraica la saggezza è identificata nei 7 pilastri (= sette giorni della creazione) che erano fisicamente rappresentati nella facciata del tempio di Gerusalemme. In “Proverbi” 9,1 si dice “La sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue 7 colonne”. Nel nuovo testamento è spesso la Vergine ad essere associata alla sapienza ed è definita come “il tempio dai sette pilastri” (vedi “Sermone sull’Annunciazione” di Pietro Crisologo). Allo stesso modo nella mistica druidica – irlandese, la saggezza è costituita dal bosco (= tempio) sacro con i suoi sette alberi sacri: betulla, salice, agrifoglio, nocciolo, quercia, melo e ontano.

giovedì 19 luglio 2012

In the procession of the mighty stars

Una delle ultime volte in cui abbiamo parlato con tranquillità e chiarezza è stata quasi un anno e mezzo fa. Mi fa impressione anche solo scriverlo, ora. Mi fa pensare a quanto tempo hai passato nella semi-incoscienza del dolore. Mi ricordo che eravamo nel tuo salotto. Il bel salotto pieno di ricordi della tua casa all’ultimo piano, da cui si guarda la città dall’alto. Tu eri sulla tua solita poltrona e io accanto su una sedia. Quella volta mi hai detto una cosa che non ti avevo mai sentito dire. Mi hai parlato della casa in cui sei nata, una casa bassa di mattoni scuri e con le finestre verdi. Una casa che allora, novanta anni prima, era in mezzo ai campi. Ma ora è in mezzo alle case. Poi a fatica ti sei alzata dalla poltrona e ti sei aggrappata alla finestra lì accanto. E mi hai chiesto di avvicinarmi. Al di là della strada, in mezzo a una foresta di palazzoni, ho intravisto una casa, molto più bassa e vecchia delle altre costruzioni: la tua casa natale. È stato un momento intenso per me. Ho capito quanto questa fosse davvero la tua città. Quanto tu le appartenessi. Nella tua lunga vita ti sei spostata solo di qualche centinaio di metri. Eppure hai visto il mondo intorno a te cambiare completamente. Una volta c’erano solo il castello e le case del centro. Poi qualche casolare in campagna. Ora ci sono nuove vie, nuovi palazzi e ragazzi che schiamazzano sui motorini d’estate. Chissà come hai fatto a rimanere te stessa di fronte alla rivoluzione mondiale che ha cambiato il volto alle città e alle persone. Oggi sono contento di avere questo ricordo nella mia testa. Mi aiuta a stare più sereno mentre ti vedo sdraiata su questo ennesimo letto ormai priva di qualsiasi contatto conscio con ciò che ti sta intorno. È così tanto tempo che ti sei arresa a questo male. Mi sembra passata un’eternità dalla prima volta in cui ho incrociato i tuoi occhi supplicanti chieder aiuto, per riuscire a passare oltre. Da quando la tua voce si è affievolita fino al punto di riuscire solamente a seguirmi con le labbra mentre io recito le preghiere al tuo fianco. Hai bisogno di firmare l’armistizio e di trovare finalmente la pace. Ti sono accanto e ascolto i tuoi ultimi respiri. Dopo una lunga apnea fai un altro respiro, forse l’ultimo? Sento che ti stai allontanando da noi e questo mi provoca un dolore immenso. Qualcosa dentro di me si sta rompendo per sempre. Riesco solo a piangere in silenzio quanto capisco che è finita. Calde lacrime che diventano tiepide solo sul petto. Hai perso la guerra contro la malattia. Ma hai vinto la pace. Sono le 16.16 di questo 18 luglio 2012. Fuori il sole dell’estate invade la città e penetra nelle chiese dalle cupole distrutte dal terremoto. Dentro questa stanza ci siamo io, mia sorella e mia zia. Tu non ci sei più. Sento mia sorella piangere mentre mi abbraccia e mi dici che ora, davvero, non abbiamo più nonni. È una nuova prospettiva. Un salto di generazione. Da nipoti a figli. Siamo anche noi più vicini alla fine. Io so che da qualche parte ci sei ancora. Mi ricorderò di te quando seguirò la processione delle stelle in cielo. E ogni volta che affonderò le mie radici per capire da dove vengo. Addio nonna. “You will not ever be forgotten by me in the procession of the mighty stars. Your name is sung and tattooed now on my heart: here I will carry, carry, carry you…forever”.

Le parti in inglese sono tratte da “Carry” di Tori Amos
Nell’immagine "Meteoric Display of February 9, 1913, as seen near High Park - Toronto” dipinto di Gustave Hahn.

lunedì 16 luglio 2012

Megfáradt ember











Nessuna maledizione
placherà la preghiera
della mia mente assetata:
le frasi spezzate dall’assenza
continueranno a terminare
in punti di domanda
e le risposte saranno
soltanto ipotesi.

                                                                     La grandine del tempo
distruggerà impietosa
il mio involucro
imperfetto e decadente
colmo di sconforto e dolore
e potrò finalmente
abbandonarlo nella polvere
per risorgere come
pensiero nuovo
purificato dal disprezzo
e dai rimpianti:
solo acqua fluida.

                                                                        Nel respiro dell’estate
la giovinezza evapora
nell’inutilità.

* “Megfáradt ember” significa “uomo stanco” in lingua ungherese
Nell’immagine la statua "Uomo stanco" di József Somogyi – Makó, Ungheria

lunedì 2 luglio 2012

Grian *


L’occhio fulgido del sole
tra le palpebre rosse
delle nuvole avorio:
la benedizione più grande
può frantumare il cielo
e far vibrare di luce
l’antro violato del tempio.

Sento il tuo grido al di là
della montagna benedetta
monito di tempi migliori
e di notti di braci accese.

La vigilia del plenilunio
del Dio ardente **:
il tempo prescelto
per la nuova era.

(I cipressi sfiorano
il ventre della luna
il mio sguardo bambino si placa
nel sonno di un uomo).

* “Grian” vuol dire “sole” in gaelico irlandese.
** Nella tradizione druidica, la luna piena tra il 10 giugno e il 7 luglio, è detta “Luna del Dio ardente”, a riferimento del fatto che siamo nel momento del massimo splendore del sole. La luna piena sarà domani, 3 luglio 2012.