martedì 27 novembre 2007

If I'm wasting all your time



Il tuo messaggio è arrivato nel mezzo della mattina di pioggia. Lo attendevo con una sicurezza quasi scientifica. Un semplice invito a cui non posso dire di no? O qualcos’altro? A volte mi sembra tutto un gigantesco scherzo, per vedere chi di noi due, per primo, inizierà a ridere. Oppure a piangere. Ma ti conosco così bene che ho perduto gli strumenti per decifrarti. E non c’è nessuno che mi possa aiutare in questa impresa. “Had me a trick and a kick and your message. You'll never gain weight from a doughnut hole. Then thought that I could decipher your message. There's no one here, dear. No one at all”. Solo davanti allo specchio osservo i miei occhi interrogare la mia immagine mentre mi infilo i jeans, quelli che ti piacciono tanto. Poi parto, non posso non partire. Il sole ha aperto uno squarcio nel cielo e la ferita sanguina di luce. Mi lascio trasportare fino a te e penso a questo novembre bugiardo, che ci illude con un pomeriggio mite prima di ibernarci l’anima. Ti incontro e osservo i tuoi occhi in attesa scrutare i miei. Vaghiamo per i viottoli del tardo pomeriggio. Nessun argomento sembra coinvolgerci. Nemmeno i miei racconti: le persone, i voli d’oltremanica, i pensieri pesanti come il piombo. Nemmeno i tuoi commenti fra l’ironico e lo sconsolato. Nemmeno le carezze assurdamente timide e fredde. Nemmeno il sesso, disperato e quasi artificiale. C’è qualcosa. Qualcosa che ti allontana da qui, da noi, da me. “Something's just, something's just keeping you numb”. Ceniamo quasi in silenzio. Mi osservi come fossi parte dell’arredo della stanza. Eppure non ho letto nella tua voce alcun tipo di ostilità, nei giorni scorsi. Eppure so che non puoi vivere senza di me. Eppure sei sempre il satellite che mi gira attorno instancabilmente. O ti stai trasformando in un sole? Non ci possono essere due soli nello stesso cielo, il fuoco ardente ci brucerebbe. “You told me last night you were a sun now with your very own devoted satellite. Happy for you and I am sure that I hate you, two suns too many, too many able fires”. In questi mesi hai abbattuto i miei muri di carta. Li hai incendiati con la passione e la dolcezza. Mentre io ne ho costruiti di nuovi, per non farti annoiare. Mai. Nelle ultime settimane sono stato lontano e ho lasciato che tu corressi senza sosta. Sempre. Ora ci sono i conti, da fare. Seduti senza parlare osservo le tue spalle arricciarsi. “You can tell me it's over, it's over. you can tell me over, over your shoulder”. E inizio a capire. Le parole non dette diventano reali, forse per la prima volta. Parli di dubbi che entrambi conosciamo ma che mai sono stati espressi. Parli del tempo che passa e che non va sprecato. Mi fai male. Vorrei abbracciarti per farti capire che ci sono e ci sono sempre stato, a mio modo. Ma riesco soltanto ad aggrapparmi alla tua ombra decadente, sdraiata sul pavimento. “And if I'm wasting all your time this time, maybe you never learned to take. And if I'm hanging on to your shade I guess I'm way beyond the pale”. Siamo passati oltre ma non c’è nulla di definitivo. Esco senza parlare. Convinto di sentire presto i tuoi passi rincorrermi. Ma fuori tutto tace. Soltanto la luna piena, che non avevo notato, mi osserva fredda come un cadavere. Il viaggio di ritorno sembra infinito. Aspetto un tuo segno e arriva. Mi dici “Fa conto che sia finita qui, ma ricorda che ti voglio davvero un gran bene”. Poi basta. Perché le tue parole, rotte dal pianto, non mi bastano per rendere tutto patetico?


Le parti in inglese sono tratte da “Doughnut Song” by Tori Amos

sabato 24 novembre 2007

White heart



I remember, the sun turning around you, oh you
As a feather, I was flying up to you, oh you, oh you
In the few pure days of rain
I wrote poems ‘bout your face

Love is tender, as an injury of skin, it is
The pretender, soon the white heart could achieve and make it bleed
The pure colour becomes past
For the red one of the blood

But I’m living in the west shore
Yes I’m dwelling where I can love
With no one by my side, and no tear in my eyes

And sometimes it’s a great effort
But there is no other pressure
But the one of my heart, that is white as much far

Oh but when the night in the field arrives………

Do you see me, in the new cloth I can now wear?
I’m not freezing ‘cause I have bought a new sun, it was for rent
And it can keep hot my heart
More than any love or sun

‘Cause I’m living in the west shore
Yes I’m dwelling where I can love
With no one by my side, and no tear in my eyes

And sometimes it’s a great effort
But there is no other pressure
But the one of my heart, that is white as much far

Oh but when the night in the field arrives, yes I can cry

mercoledì 21 novembre 2007

The eternal waiting


I’ve got a piece of delusion in my hands
I am a creep ‘cause I cannot understand

I feel just protected by the clouds over
To me even if the soul is so greatly heavy

I know there is something more than this old hell
I hope may be one day to be where I’ll have

A peace now neglected by my life so little
Free from the cages built all around to me

So the eternal waiting
Is still long
Nothing can stop changing
And that’s all

There is a world… we don’t know
And it’s beyond… every wall

I play with flames in the passageway of life
I meet in the maze all the fakers of my time

I need this perpetual sense of powerless
In me so that I can say I couldn’t reach much more

I treat my grief as it was my precious twin
Lost in a mist in past centuries of ill

I feel in this evening only some futility
as the morning never could come tenderly

So the eternal waiting
Is still long
Nothing can stop changing
And that’s all

There is a world… we don’t know
And it’s beyond… every wall

martedì 20 novembre 2007

Silenzio di carta strappata


Forse che questo antico miraggio
sfumato di musica e di vita
stia volgendo frigido al ponente?

L’ultima luce sorride di noia
oltre il colle scosceso del tempo,
sacra apocalisse del destino

Cosa raccontare ancora di noi
all’anonimo pubblico del cosmo?
Solo silenzio di carta strappata.

lunedì 19 novembre 2007

Einfühlung



Da molto tempo volevo scrivere questo post di riflessione sul concetto di empatia, che ritengo la base stessa di qualsiasi rapporto interpersonale. E’ un argomento su cui ho riflettuto parecchio, ma l’idea di ragionarci qui mi è venuta da un post della notturna Irene di circa un mese fa, intitolato “Le vite degli altri (e quella che non ho vissuto)” (grazie Ire). Sì perché senza nessun tipo di empatia, un rapporto è solo sterile cortesia. Ma se l’empatia è troppo estesa e coinvolgente, si rischia di smettere di vivere la propria vita. Personalmente ho sempre sofferto molto di questo secondo problema. Quando mi sento coinvolto in ciò che una persona (un amico e non solo) mi racconta, partecipo emotivamente anche a livelli troppo elevati. Questo può essere negativo per me ma anche per gli altri. Essere razionali e consigliare senza un coinvolgimento emotivo esagerato, spesso può essere più salutare. Siccome il concetto di empatia mi interessa enormemente, mi sono un po’ documentato. Ho scoperto che alcune università anche Italiane (ad esempio quella di Parma) stanno portando avanti un filone di studi sul concetto chiave di Einfühlung tradotto, in questo caso, proprio come Empatia. Questo concetto è preso da Husserl (che lo traduce però come “fenomeno dell’entropatia”) il quale parla della rappresentazione teatrale: affinché lo spettatore comprenda l’azione rappresentata in teatro è necessario che, oltre al fenomeno puramente percettivo, abbia luogo il fenomeno della Einfühlung, grazie al quale è possibile quella dialettica di immedesimazione e ironia che caratterizza il vissuto dello spettatore rispetto all’attore/personaggio rappresentato. (I tedeschi, da Kant in poi, sono così bravi “a parlare razionalmente di emozioni”). Nel caso delle ricerche sull’Einfühlung = empatia, si scende a livello puramente scientifico. Pare infatti che le nostre sensazioni a livello emotivo siano gestite da dei neuroni chiamati “neuroni specchio”. Quando ci troviamo di fronte a una persona che ci esprime, a parole o in modo non verbale, un determinato stato emotivo, noi attiviamo gli stessi neuroni che attiviamo quando siamo noi ad essere in quello stato emotivo. In parole più semplici: se io vedo un amico piangere, attivo gli stessi neuroni che attiverei se piangessi (ovviamente a differenti intensità, la qualitativamente è la stessa cosa). Cosa vuol dire questo? Che siamo “naturalmente” predisposti all’Einfühlung, cioè siamo naturalmente empatici. Dunque combattere le emozioni di derivazione empatica sarebbe andare contro il nostro essere umani? Il meccanismo dell’empatia prevede prima una fase di comprensione, poi una di condivisione e infine una reale identificazione nella sensazione o stato emotivo. In quanto esseri umani siamo naturalmente predisposti a soffrire e a gioire sulla base dei dolori e delle gioie altrui. Rimane da chiarire fino a che livello possiamo farci coinvolgere dall’empatia, cioè fino a che punto la nostra vita interiore sia effettivamente influenzata e influenzabile dagli altri e dal mondo esterno. Chiudo citando un altro tedesco, Lichtenberg: “Noi stiamo in mezzo tra l’anima e il mondo esterno e siamo specchi degli effetti di entrambi”.

giovedì 15 novembre 2007

I freed myself




Le rose d’autunno appoggiate sul davanzale, ritagliano fette di questo cielo scuro. Al di là della tenda trasparente osservo la vita scorrere, indifferente alla mia presenza. Mi scaldo le mani gelide con il tè bollente e cresce in me questo bisogno di scriverti. Ti scrivo da questa città a cui appartiene metà della mia anima. La città in cui il mio corpo trova la sua dimensione ideale. Questa mattina sono uscito mentre il sole invadeva i palazzi di Bloomsbury. Ho raccolto nostalgie ad ogni angolo, assieme con la brezza gelida che mi accarezzava il viso. Le parole sono sgorgate come acqua da una fonte. “All those places where I recall the memories that gripped me and pinned me down”. Sono sceso nei sotterranei che sfidano il tempo tradendo lo spazio. Il ventre caldo della terra, ferito, gronda di centinaia di persone che come sangue scorrono nelle sue vene. Sono risalito tra i palazzi di Westbourne Park. Ho sfidato me stesso. Di nuovo in nome della Musica. Ancora una volta ho acceso speranze destinate al suicidio. Illudendomi di distruggere questo desiderio, per sempre. “I'd risen this morning determined to break the spell of my longing and not to think”. Camden mi ha parlato di nuovo del futuro anteriore del mondo, dove il tutto è possibile se si ha la forza di non cercare di prevederlo. Immerso in questo bagno di antichi archetipi modernizzati, ho osservato il bestiario umano e sono riuscito a non pensare. “I go to these places intending to think of nothing . No anticipate”. Ma solo a Regent’s mi sono sentito liberato dalla vita. E straordinariamente solo. Come un bambino che apre gli occhi per la prima volta. Come un defunto che li ha chiusi per l’eternità. Assolto. “I freed myself from my family I freed myself from work I freed myself I freed myself and remained alone”. Sul ponte possente che sfida la storia, mi è parso di intravederti. Tra i passanti frettolosi e gli spiriti smarriti. Ma ho volto i miei occhi sul Tamigi che, per la prima volta dopo secoli, ha voglia di spaventare la città. Forse tu mi stai aspettando fra le acque. Con un miracolo delirante fra le mani. Ma non ti raggiungerò. Non ora. “And somehow expect you'll find me there that by some miracle you'd be aware”. Mi accorgo di essere dove vorrei essere. Il tempo e lo spazio perdono qualsiasi valore quando coincidono così perfettamente. Ora che il sole ha lasciato questa terra eroica quasi completamente, mi ritiro in contemplazione. Da questa dimensione gotica attingo pensieri dalla mia mente e li dono alla carta. Soltanto per te. Nel silenzio di questo cantone della città. “Silence, silence, silence, silence”. E ti scrivo. Senza sapere se esisti.

Le parti in inglese sono tratte da “Silence” di P J Harvey

giovedì 8 novembre 2007

Like getting blood out of a stone



Così domani sarò di nuovo da te. Londra. Per l’ennesima volta. Senza stancarmi mai di capirti e di ritrovarmi in te. Tu con le brume di Kensington Garden del mattino e del jogging. Tu con i pub dalle mille birre e dalle mille lingue. Tu con le acque che cambiano sfumature con lo scorrere delle ore. Tu con la pazzia calcolata tra i vetri e l’acciaio. Tu con l’inferno sotterraneo e colorato, in fondo gradevole. Tu con le parole infinite che scorrono dalle strade agli occhi in un flusso continuo. Tu con il vento che solletica il muschio nei cimiteri di pietra antica. Tu con la Musica che non si spegne mai, perché anche il tuo silenzio è musica. Tu con gli oggetti assurdi che fanno tornare gli adulti bambini e che fanno diventare grandi in fretta i bambini. Tu con i portoni immensi, sempre chiusi eppure spalancati. Tu con il nero della pelle e il bianco delle rose. Tu con le nuvole discendenti dalla Primerose Hill. Io? Io cosa ho ancora da imparare da te? Tutto. O forse nulla. Credo tu scorra nel mio sangue. “Like getting blood out of a stone, the City left you lost and gone”. Ma so che tu avrai sempre nuove domande per me. “Are you happy with yourself? Are you talking to yourself?”. Cercherò ancora le risposte nelle luci riflesse sul Tamigi, così silenzioso nel suo fragore millenario. Ancora ferito dalle navi e dai battelli, senza sosta. Le cercherò nella vita dei docks di Saint Catherine dove tutto sembra finire e invece inizia soltanto. Cosa c’è di diverso stavolta? Perché quest’ansia, la notte prima di rincontrarti, dopo quasi un anno? Forse è questa nuova consapevolezza, così indispensabile, eppure così fastidiosa e scomoda come un cuscino di aghi. Cosa mi dirai di essa? Ho paura delle tue risposte. Ma ti ascolterò di nuovo, Londra. Domani. E fino a quando gli occhi mi resteranno aperti. “You’re always looking for a sign but boy you blow it every time. You hear a voice begin to speak. You ignore it and go softly to sleep”.

Le parti in inglese sono tratte da “Put the book back on the shelf” by Belle&Sebastian
Il dipinto è “Sunset over Westminster, London” by David Welsh

mercoledì 7 novembre 2007

I am all the days that you choose to ignore



Oggi vorrei parlare di te. Dopo un anno in cui mi osservi, dall’alto della tua coscienza di vetro, brillante ma cupa, palese ma irraggiungibile, vorrei darti un nome. Dopo un anno in cui ti osservo, in attesa di una tua approvazione, che desidero e temo allo stesso tempo, vorrei capire chi sei davvero per me. Da quando hai sfiorato la mia anima in quella umida serata di novembre, hai cambiato il mio modo di pensare. Mi hai avvicinato al tuo cuore e poi mi hai allontanato, ignorando il mio dolore per infinite frazioni temporali. “I am all the days that you choose to ignore”. Io mi sono reinventato, ho lottato contro la mia pochezza, imparando a recitare sui nuovi palchi che tu mi hai fatto conoscere. “I'm the next act waiting in the wings”. Poi sono fuggito dalle tue mani indecise, ho corso a perdifiato, ma mi hai sempre raggiunto, e di nuovo intrappolato. Con la forza della carne e della mente. “I'm an animal trapped in your hot car”. Ho pensato tu fossi la luce per uscire dal buio, ma come una falena accanto a un falò, mi sono bruciato le ali, avvicinandomi a te. “I am a moth who just wants to share your light. I'm just an insect trying to get out of the night”. Dopo un anno durato un secolo, ancora affogo nel verde delle tue iridi. E sono costretto ad ammettere che tu sei tutto ciò di cui ho bisogno. “You are all I need You are all I need. I'm in the middle of your picture lying in the reeds”. Il tempo non ha risolto la sciarada fra di noi. Ancora tu appari e scompari senza nessun preavviso. Io seguo i tuoi umori e, senza alcun senso, leggo il mio futuro sulle espressioni del tuo viso. Ci sei tu. E nessun altro. “I only stick with you because there are no others”. Infinite ragioni e infiniti errori fra di noi. E la vita che si consuma nel susseguirsi dei giorni. “It's all wrong. It's all right. It's all wrong”.
Le parti in inglese sono tratte da "All I need" by The Radioheads

martedì 6 novembre 2007

Dubh




Nel gioco del sole ho indossato
nascosto da nebbie grafite
di tenebre questo cappuccio
poetico amico del nulla

Con esso mi sono coperto
dagl’occhi che piangono luce
di uomini ostili a se stessi
amanti perduti dei sogni

Straripa di seppia il mio nido
asettico affanno del cuore:
è nella dimora del buio
che accolgo la morte.. e la vita


* Dubh = “Nero” in gaelico irlandese

venerdì 2 novembre 2007

Farewell old cries



Well I can see this night
Through the candles
While every previous time
Is dying around

Yes my eyes are dry
In this end of
Year of grief and crimes
Have I loved in vain?

Farewell old cries

Though the ocean roars
Into my heart
A smile I’ve got
To those who hate

While the spirit soars
In the deep dark
I turn now my brow
Towards the north

Farewell old goals

Samhain I hope to be near
To become a ghost without fear
Living for enchanted words and for whispers of the love

Suddenly I call this new year
As it was a thought and not real
Dreaming it is still the most precious thing I’ve ever got

The last sun went down
Behind mountains
And the mourner’s crowd
Has started to sing

“No what you have found
Is not eternal
Of the time the mouth
Can eat it all”

Farewell old hopes

Samhain I hope to be near
To become a ghost without fear
Living for enchanted words and for whispers of the love

Suddenly I call this new year
As it was a thought and not real
Dreaming it is still the most precious thing I’ve ever got